Per modo di dire … dicendolo mi prendo un piccolo spazio per retrocedere segretamente da quello che ho appena detto, prima.
In inglese ho trovato alcune traduzioni, ed ho preferito questa: as a figure of speech, perchè? Indicando una “figura retorica” mi sembra riferisca l’accadere o il mostrar/si di “figura”, per una specie di spettacolo privato o pubblico. Parlare ad una platea o da una platea. Senza teatro, però e senza un vero spettacolo, probabilmente.
Nella distanza fra teatro dello spettacolo e società dello spettacolo ci sta grande differenza, un mondo o più, direi! Fra l’origine sacra dello spettacolo rituale (idolo, maschera, sacra rappresentazione e cerimonia) e l’edizione rappresentativa della società dei consumi ce ne corre, davvero, di differenza. Non più “investiti dalla divinità”, attori autentici sotto la maschera ed il travestimento, ma consumatori che comprano e (si) vendono come figure partecipi di un teatrino-organizzazione di consenso pilotato. Merci per messaggi mercificati.
Qual’è il problema? Vivere in un teatrino senza saperlo. Per modo di dire uno spettacolo, per modo di dire vivere.
Farnetico e cosa c’entra o centra questa specie di post con quella “figura retorica”? Non so, ma stiamo attenti a non essere, oltre che a farle, “figure di merda” (e almeno, cerchiamo di accorgercene) … Oh, l’ho detto.
(scrittura veloce, un po’ puzzolente e comunque, in progress … :-).
Post Scriptum: 2 . 4. 2019
Gli Esquimesi si baciano annusandosi accuratamente (con una cerimonia antica che ancora conserva il suo valore). Con loro non si possono fare, o essere tantomeno, “figure di merda”. Appena annusati , subito si sarebbe riconosciuti e mandati a camminare sul “Ghiaccio sottile” (Icewisdom). . . per aiutare un nostro rinnovamento ?! 🙂
“Non importa se vedi in Bianco e Nero o a Colori. Ascolta . . .
C’è un vento pazzesco, tutto ondeggia, in cielo ed in terra. Anche la macchina sopraffata dal movimento dell’aria e mio, sposta immagini oltre l’obiettivo, fotografando un’imprevista inquadratura. Mentre, quella rimasta fuori si libera, potrebbe raggiungere tutte le altre immagini liberate, chissà dove?
“Quando non puoi vedere, ascolti.”
NPAL Lab – “Blowing in the Wind”- Findhorn & Elsewhere, August/September 2012
(continua – in progress)
26 . 7 . 2019
Quando comincio a raccontare, spesso non so se farlo con un tempo presente o passato prossimo o remoto. Il racconto, a volte è un ospite inatteso, si manifesta poco a poco. Questo, accade nel presente (sono, sei). Se evoca dal passato ciò che già era accaduto o non accaduto , acoltando sento altre storie (ero, eravamo, eravate, erano). Ricordo, o non ricordo, mi è accaduto o l’ho sognato e, che differenza ci sarebbe?
Parlare del tempo non è una negazione (c’è stato o non).
Piuttosto, chiedersi “Chi sono?” sia una domanda (esssere presenti mentre lo si chiede, con umiltà non sottomessa e spirito bambino) nei limiti consentiti dalla trasformazione della nostra consapevolezza che invecchiando può consentirci nuovi inizi … ?
NPAL LAb Exhibition & Illusion, Milan & Elsewhere 2012
“A volte, non c’è confine fra domanda e risposta.”
Viaggiano insieme, oltre confine. E, se “la risposta è dentro di te”, è importante non essere soltanto, o sempre, fuori . . . 😉
(continua – in progress)
7 . 2 . 2019
La distanza fra due immagini di paesaggi potrebbe essere intesa come uno spazio da percorrere, a piedi o in volo, da soli o iinsieme ad altri, con un mezzo di trasporto, o senza.
Un cammino o un volo, accade fra cielo e terra, sulla terra in questa cosidetta terza dimensione o nelle altre. Trovarsi nello stesso viaggio in questa o in altre realtà multidimensional, fa una certa differenza, ma se navighi davvero ad un certo punto sei oltre confine, per ipotesi… Come esserne mai certi? (no separation) 🙂
NPAL Lab – Diary & Journey “Passano e ripassano” via Corelli, Milano & Altrove 27 Febbraio 2019
(- continua)
28 . 2 . 2019
Immagine di treni in transito, tanti viaggi tra di loro, intervalli, immagini, cambiamenti. Sospirando canto Amapola, perchè ne sento l’aria. Ed adesso, scusatemi, vado a cercare quel libro “Il Viaggiatore Notturno” di Maurizio Maggiani.
Si, proprio quel libro che mi aveva fatto ricordare di aver sentito cantare quella canzone da mio nonno Felice, sottovoce, quando cantava ormai solo così, spesso da solo davanti alla finestra, dopo aver condiviso, da giovane, per tanti anni la sua voce con un coro. Quanti ricordi, vissuti o ascoltati raccontare.
Mia mamma Renata, piccola piccola, lo accompagnava quando lui andava a cantare nel coro, verso sera. E poi, lei seduta ad ascoltare, seguiva lui in silenzio, intanto imparava le canzoni di un vasto repertorio di generi musicali diversi. Per tornare a casa, a notte fatta, con la sua manina nella tasca grande del cappotto del suo papà altissimo, bellissimo e dolcissimo. Credo di aver ereditato quel senso dell’essere compagni musicali, sonori nel vivere, anche condividendo il silenzio. Grazie.
Quando, non molto tempo fa, ho comimciato ad essere rassicurata nell’ascolto, piuttosto che nell’essere ascoltata, ho cominciato ad intendere come il bisogno di raccontare prescinda dall’ascoltare, ascoltarsi nell’essere “insieme” (anche se l’altro non c’è o non si vede). Però, per questo… working in progress, mentre sta arrivando un’altra Primavera!
Ho preso tanti treni nella mia vita e quanti ne ho persi! Ne resta una immagine mossa, di tracce sempre in divenire. Perchè, in fondo, un viaggio non è mai finito e le mete sono sempre in movimento fra loro. Un treno in transito questo lo sa…
Il viaggio non va atteso, va vissuto in ogni momento, dovunque tu sia, lo spirito del viaggio è sempre con te. Non sei mai solo nè fermo.
“Non aspettare di partire, comincia a viaggiare dove sei, anche se sei seduta
davanti alla finestra della tua stanza.”
(lascia andar via i pensieri ed ascolta. Forse, c’è una storia che è appena partita e
sta arrivando da te … )
Kaapi Carla Barnabei – NPAL Lab “Waiting for a Tales” – Findhorn Foundation – 2012
“Non sono le persone che fanno i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone”.
John Steinbeck
(- continua)
3 . 3 . 2019
NPAL Lab – Diary & Journey “Listening”, Milan and Elsewhere, 3 March 2019
“Nell’Acqua c’è uno Specchio. E, nello specchio il fluire dell’immagini, chissà dove.”
Le immagini riflesse, come treni d’altra dimensione, vanno Altrove?
P.S.: Il viaggio mi porti “qui”, dove sono. Nessun confine vorrei percepire ( rilasciando l’illusione di percepirlo) 🙂
(in progress)
ore 21.47
Lascio qui un paio di appunti per la mia ricerca sulla esperienza passata ed in progress “Mappe per/del Silenzio”.
Titolo assolutamente indicativo, provvisorio ed in trasformazione. Insomma, per il poco che ne so, una storia multidimensionale di segni sonori ed in-visibili . Spazi e mondi.
Da anni ci penso e l’incontro con il khoomi mongolo a Ulan Batar (Giugno 2018), la mia resa (“non ce la faccio a cantare così, riconosco il mio limite e, ti seguirò ascoltandoti, fino all’infinito”) e la testimonianza del maestro (che emozione risentirlo nel video!) hanno segnato una svolta facendomi da ponte nella nebbia.
* (ho trovato la prima di queste tracce sottostanti, sbirciando fra i vecchi post del 2007 per la prima, e da questa ho trovato la successiva 🙂 o procedo, quando non sto ferma per associazioni e per incontro con “quello che arriva” o trovo.. Si rinnova la gratitudine che ho sentito allora e sento ora. Grazie 🙂
(fantastico, ascoltare tutte e tre le tracce, video, contemponeamente . . . ) 🙂
(in progress)
4 . 3 . 019
** Procedo, quando non sto ferma, per associazioni e per incontro con “quello che arriva” o trovo (siano parole, immagini o suoni).
È tempo di mettersi in ascolto. È tempo di fare silenzio dentro di se. È tempo di essere mobili e leggeri, di alleggerirsi per mettersi in cammino. È tempo di convivere con le macerie E l’orrore, per trovare un senso. Tra non molto, anche i mediocri lo diranno. Ma io non parlo di strade più impervie, di impegni più rischiosi, di atti meditati in solitudine. L’unica morale possibile È quella che puoi trovare, giorno per giorno, nel tuo luogo aperto-appartato. Che senso ha se solo tu ti salvi. Bisogna poter contemplare, ma essere anche in viaggio. Bisogna essere attenti, mobili, spregiudicati e ispirati. Un nomadismo, una condizione, un’avventura, un processo di liberazione, una fatica, un dolore, per comunicare tra le macerie. Bisogna usare tutti i mezzi disponibili, per trovare la morale profonda della propria arte. Luoghi visibili E luoghi invisibili, luoghi reali e luoghi immaginari popoleranno il nostro cammino. Ma la merce è la merce, e la sua legge sarà sempre pronta a cancellare il lavoro di chi ha trovato radici e guarda lontano. Il passato e il futuro non esistono nell’eterno presente del consumo. Questo è uno degli orrori, con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora dato una risposta adeguata. Bisogna liberarsi dell’oppressione E riconciliarsi con il mistero. Due sono le strade da percorrere, due sono le forze da far coesistere. La politica da sola è cieca. Il mistero, che è muto, da solo diventa sordo. Un’arte clandestina per mantenersi aperti, essere in viaggio, ma lasciare tracce, edificare luoghi, unirsi a viaggiatori inquieti. E se a qualcuno verrà in mente, un giorno, di fare la mappa di questo itinerario; di ripercorrere i luoghi, di esaminare le tracce, mi auguro che sarà solo per trovare un nuovo inizio. È tempo che l’arte Trovi altre forme Per comunicare in un universo In cui tutto è comunicazione. È tempo che esca dal tempo astratto del mercato, per ricostruire il tempo umano dell’espressione necessaria. Una stalla può diventare Un tempio e Restare magnificamente una stalla. Né un Dio, né un’idea, potranno salvarci ma solo una relazione vitale. Ci vuole una altro sguardo Per dare senso a ciò Che barbaramente muore ogni giorno Omologandosi. E come dice un maestro:
“Tutto ricordare e tutto dimenticare”.
– ANTONIO NEIWELLER, “L’altro Sguardo. Per un Teatro Clandestino” – dedicato a T. Kantor, Maggio 1993
1-
Otto volte ho chiuso gli occhi
otto volte li ho aperti
intanto la matita scorreva
a volte felice a volte
pensosa
Ogni apertura mi offriva un ordine diverso
e subito dopo l’immediato disordine
Un segno me ne suggeriva un altro
dei graffi, un colore
Niente mi affascina di più che la tensione
che si crea tra equilibrio e squilibrio
tra ordine e disordine
Molte
volte mi basta solo il segno
altre volte il colore ci vuole
Io vorrei dipingere suonare e recitare
contemporaneamente
Tutti i tempi musicali mi suggeriscono
una composizione.
Non lo so se si può vivere
dipingendo tanghi
ma l’istinto che mi lega alla musica
è lo stesso che mi unisce alla pittura
e al teatro
La teoria è tutta in questo rapporto
io vorrei espandermi
e un bel giorno sparire
Ma tutto a suo tempo
tanto gli ultimi saranno i primi
e i primi gli ultimi
I modi resteranno i modi
e un virus è un virus
Antonio Neiweller – Un altro sguardo 1998 – dedicato al Yratro di T. Kantor
Rileggendo un vecchio post del 1 . 11 . 2009 ho trovato tracce per oggi, ed anche per domani . . . 🙂
(16 – 12 – 2018 – in progress)
3.
16 . 12 . 2018
” E’ tempo di mettersi, in ascolto, bisogna saper contemplare
ma essere anche inviaggio.”
Così avevi scritto.
“Non sapere. Sparire”
Tra le parole e gli spazi loro, ho trovato che vorresti espanderti ed un bel giorno sparire.
“Sparire”, sei sparito ( da questa dimensione).
“Non sapere”, lo hai testimoniato ed oltre-passato-
L’istinto che ti ha legato alla musica ed ai segni,
sopravvive e trasforma lo sguardo, ancora. Che non so, se sguardo od ascolto. Comunque, sento?
Ed ancora, ancora non sappiamo dove, nè come, nè quando.
Eppure. ricordando dimentichiamo e, potremo mai dimenticare ogni separazione ?
– ore 23.11
(appunto, in vista, per ora da lontano, verso “Quel che ricordo di aver dimenticato . . . . Ovvero, “Perché ho sempre amato gli armonici (overtones) anche ascoltando Bob Dylan, senza saperlo” – titolo provvisoriamente indicativo).
(in progress)
1.
NPAL LAb Aprile 012 – “Provisional”
2.
31 . 12 . 2018
Ultimo giorno di quest’anno, ancora in corso. Nessun bilancio. Ascolto musica aspettando si riveli la differenza e la somiglianza fra musica, suono e rumore (una specie di bordone più o meno udibile fa da sottofondo discretamente fino a quando nel silenzio risuona potente oltre ogni identificazione…).
Echi di guerra nei fuochi d’artificio. Sarà anche viceversa, qualcuno trova la guerra accettabile ? Si spaventano gli animali in città, nelle case e fuori, si lamentano si nascondono sotto il letto. E, noi?
Nelle feste celebrative c’è sempre qualcosa di violento sottaciuto ed indescrivibile, in agguato a segnar confini, dove crediamo ci sia ancora pace e dove invece non c’è più (anche se a volte non ce ne accorgiamo neanche).
A ben ascoltare, di pace non ce ne è più dappertutto, sulla terra. Siamo abituati pure alla guerra, con e senza armi vere proprie, ormai bastano le parole, le frasi pronte a dividere e distruggere.
“Oddio, mi devo preoccupare? Ogni inizio avrà una fine e viceversa, ma ogni volta, che fatica! Chissà, se avrò ancora la forza necessaria …
Ormai, capelli bianchi e schiena curva ho. Saprò ancora inchinarmi ad un Fiore ed al Fulmine?”
(continua – in progress)
1.
Dialogo – NPAL Lab 04032013
25 . 11 . 2018
Cosa è davvero essenziale per un Dialogo, per comunicare davvero, e non solo per trasmettere o ricevere parole?
“Ascoltare ed ascoltarsi. Ed imparare ad ascoltare il suono di un discorso, non il suo significato codificato attraverso i linguaggi. Aprirsi all’essenziale,”
Sì, 🙂 Riconoscere la musica, tam-tam, drin-drin, op-op-ooop! Ed anche le stonature, le indecisioni, gli errori?
“Se ci sono note in sospeso puoi attendere, ma intanto ascoltare il vento, chiamalo!”
Il canto come una invocazione e come un ponte fra le realtà ed i mondi.
Contemplare chi è di fronte a noi come se fosse un Albero, che accoglie ogni sua Foglia, sempre libera di cambiare e poi, d’andare via.
2.
“Nell’altro, davanti a te come uno specchio, c’è un volo (espresso, trattenuto o invisibile),
2. “Three” – Iona Island – Findorn Foundation Rose Cottage 1808016
3. “Handmade and Self-Done” workshop – Findormn Foundation 0608014
4. “No Title” – Zavhan Valley 08017
5. Phonix (Flames and Empty Eyese) from web
29 . 11 . 2018
Qualche giorno fa, ho scritto qui ed allegato, via via, delle foto prese a caso, ed ho continuato a scrivere. Di solito faccio così, comincio a scrivere, cerco delle foto (dalla libreria del blog, dal pc o dal web)), punto il mouse a caso, o quasi, ed incollo una o più immagini. Poi, spesso proprio guardandole seguito a scrivere, ascoltando. Alla fine, lascio il post in progress, aperto ad un nuovo inizio. Quando, ritorno qui, allego un’altra foto o più, e così via. A volte, sorprendendomi per quello che ri-trovo.
Adesso, rileggendo mi sono accorta come l’ultima foto, sia attinente alla trasformazione ed alla rinascita… Condizione indispensabile per ascoltare davvero ( a riparo da condizionamenti e patemi)! Ma, me ne ero accorta prima? No. Quell’immagine era già stata pubblicata nel blog tempo fa. Vorrei cercare quel post e fare una ricerca in tema.
(continua)
NPAL Lab – “Forgiveness” 2014 – Iona Island
Quello della Fenice non sembra solo un mito sulla rinascita, dopo la morte. Racconta un’avventura, sin dall’inizio.
Questa creatura smagliante di vibrazioni luminose dell’intensità dello spettro visivo ed in parte d’Arcobaleno, comincia subito a cercare ciò che la porterà a costruire la sua ultima dimora su un Albero. Subito, si circonda di suoni del volo e di profumi, saranno rametti speziali a diventare giaciglio della sua provvisoria dimora e tomba che sarà incendiata dai raggi dal sole. E, poco a poco, bruceranno insieme, consumanadosi fra luce e profumi, diventando cenere. Proprio da quelle ceneri balsamiche ed odorose una larva o un uovo, piccoli, nascerà la nuova Fenice. Avrà continuità verso il Passato e verso il Futuro, contemporaneamente. Percorrerà la sua avventur fino in fondo. E, durante il cambiamento, canterà.
Il suo canto, sospeso fra lamento e grido, sia di monito alla paura del cambiamento e alla sfiducia nell’incertezza ( quella sospesa fra la sicurezza ed il cambiamento). Ascoltiamolo; il suo canto guida, dalla Luce all’Ombra, dal volo alla stasi ed al riposo. Cova la propria morte cantando. Rinascerà, rinnovando il canto.
Mi piace immaginare, il suo canto, in divenire fra il vagito della nascita ed il grido che invoca la dipartita ed il ritorno a Casa.
“Il canto come invocazione che diventa ponte fra le realtà ed i mondi.”
(continua)
Riferimenti e bibliografia (in progress):
– “Il potere del mito” e “L’eroe dai mille volti” (e tutti gli altri libri di ) Joseph Campbell
– “Il mito della fenice in Oriente ed Occidente” Francersco Zambon e Alessandro Grossato di – ed. Marsilio
– “L’occhio della fenice” Umberto Capotummino – ed. Sakhem
“C’è una foto con qualcuno (io), ma non guardare “chi” (me) , guarda vicino, guarda il Cielo…”
Classificare e dividere, come se gli Esseri umani fossero superiori alle Pietre o alle Nuvole. Una proiezione di separazione che, riprospettata su piani social-politici, potrebbe diventare razzista e nazi-fascista? Non m interesso (più ) di politica, mi sforzo di non ignorarla e, piuttosto, non riesco a non indignarmi. Si tratta di priorità, sia nelle relazioni personali sia nelle relazioni sociali.
Si tratta di responsabilità. Bisogna farsi qualche domanda, del tipo: questa azione procura sofferenza a qualcuno? Ne posso fare a meno, e ci potrebbe essere una alternativa?
In fondo, che sia una questione di immaginAzione e di Libertà inseparata (mia/tua/nostra/vostra/loro)? Si tratta, di aprire la visuale, di ampliare lo sguardo? E, di non farsi i”cazzi propri” come se gli altri (in senso lato: persone, popoli, paesi, razze e mondi) non esistessero?
Che poi, “i cazzi, o fatti, nostri” visti con uno sguardo limitato ci condizionerebbero, ci renderebbero schiavi, diciamolo!
Per vedere chiaro, bisognerebbero essere in pace, dentro di noi, con noi stessi e conoscere la nostra Oscurità. Come, altrimenti, potremmo vedere, in quel Buio? E, cosa potremmo vedere se non le nostre paure ed i nostri rancori proiettatti su qualcuno o qualcosa d’altro, fuori di noi?
E’ lo spettacolo inconsapevole, il film di una vita non vissuta, l’illusione di una realtà apparente, recitata inconsapevolmente (una trappola individual-sociale).
Però, la possibilità di risveglio c’è… ma non si compra, ci vuole l’intento di cambiamento, di risveglio ( non rifugiarsi in compensazioni)!!!
Sai, quando viaggiando guardiamo qualcosa attraverso una finestra e, magari la finestra non c’è neanche potrebbe essere l’obiettivo di una macchina fotografica, o qualcosa d’altro che ci consenta d’incorniciare, in parte, ciò che potrebbe essere visto di fronte o intorno a noi. Oppure , potremmo anche non essere in viaggio fuori casa, ma considerarci in viaggio, dovunque.
“Non è tanto importante ciò che vedi, o credi di vedere, se guardando ti liberi dall’ansia di vedere, trovare un’immagine o forse una compensazione?”
Una compensazione che potrebbe farci dimenticare, per un istante almeno, ciò che nell’ombra ci rende così difficile stare, restare, fare e, ci fa nascondere o fuggire, altrove.
Altrove, dove?
Altrove potrebbe essere lì, (magari una paginadel blog o di facebook), dove indifferentemente si possa sostituire ciò che vorremmo o dovremmo fare, con un click, (uno sguardo, click fotografico o della tastiera del pc o smartphone)
(questo è rimasto dall’incipit del post scritto giorni fa o ieri: un ponte che ti mostri proprio che non si può neanche vivere nella paura ma vivere…
NOTA 1
lascio questo post in sospeso e non lo pubblico, come pro-memoria riletto a come scrivo e come scrivevo.
Sto rileggendo vecchi post e mi meraviglio: li ho scritti davvero io?
Adesso, non mi sembra di saper più scrivere in tal modo. Perché? Forse, perchè ora non faccio più riferimento a fatti o persone accaduti, incontrati in questa dimensione e che possano essere trascesi proprio attraverso il racconto scritto o disegnato, dal giudizio, dall’idealizzazione, dall’esaltazione, insomma dall’illusione.
Ultimamente, scrivo per compensare le frecce che non ho saputo, sentito o voluto lanciare.
Scrivo per dire alle compagne di viaggio quanto sono state incoerenti rispetto a chi credono e dicono di essere o stronze, stronzizzime. Scrivo per esprimere la mia delusione di non aver trovato interlocutrici per esaminare la dinamica di separazione fra noi, complice la competizione; ma sbaglio perché non trasmuto non trascendo , pontifico.
E così. non racconto la storia dell’evento per lasciarlo andare. Piuttosto, ne parlo per affermare la mia posizione presunta corretta e per crogiolarmi nella sconfitta o nella vittoria ( a volte non c’è una gran differenza)
Non cancello il post qui sotto, che avevo citato all’inizio come riferimento per scrivere qualcosa.
Direi, che ora sia prioritario considerare perché scrivo e cosa potrei scrivere durante il viaggio a Glastonbury, il prossimo viaggio. Già adesso, si sta rivelando qualcosa, no? Stanno incrinandosi alcune maschere e stereotipi , in me. Bene.
“Questa nota mi rincuora e mi incoraggia anche a comperare un usato i Pad da portare in viaggio. Sì, mi sto accorgendo che urge un ” lavoro sull’intero/interno”, una meditazione sia pur breve e quotidiana, un esercizio fisico mattutino (sia pur breve), fare il bagno ogni giorno, adesso che l’acqua calda c’è grazie alla riparazione dello scaldabagno, e fare un disegnino, come parte di un disegno grande, da portare in viaggio ( una specie di collage, anche da combinare dopo, o da fare su u foglio in cui uno schema, anche semplice, come un mandala circolare con gli assi delle direzioni o una spirale,da riempire con fogli piccoli anche strappati da disegni o fotocopie di disegni, in modo che il frammento sia comunque energicamente connesso alla piu’ grande e o più piccola parte ed anche testimoni l’apertura di lasciare andare. E, fare la fotocopia ma non stracciare il sdegno).
Sulla parete dello studiolo sopra la cassettiera o in camera da letto mostrare a me stessa questa testimonianza che potrebbe essere trascesa (ho paura di perdere qualcosa, ma vedo la mia paura e “me” la guardo) .
NOTA 2
Prima, nell’incipit al post (cambiato) avevo scritto: ” Un ponte che ti mostri proprio dove sei … Be’, non si può neanche vivere nella paura ma vivere…”
“Four Strong Winds blow lonely”
(il testo nei commenti)
N.B.:
20 . 10 . 017
Quello che ho scritto qui sopra, più di un mese fa, mi sembra in buona parte ossessivo ed in parte svanito. La testimonianza, come tal, (se lo è) testimonia un limite.
Forse sono proprio loro, i limiti, i veri testimoni?
Intendo dire, non censuro quello che ora rileggendo, mi sembra ingenuo perché sfuggito alla rappresentazione (guarda “chi sono” o guarda chi vorrei sembrare d’essere) o all’opposto rappresentato proprio per questo motivo, inconsapevolmente. A questo proposito , ho scritto, rimandando il pranzo per l’urgenza di dirlo, un commetto ad un post su facebook, magari lo replicherò anche qui.
Il Vento Soffia, soffia. Soffia via. Grazie!
2 giugno 2008
Angoli & Spigoli
In un Angolo c’è una mappa di Mondi da decifrare. Tutto lo spazio fra Soli, Lune, Stelle e Altro ancora.
La Luce e l’Ombra del Cielo e della Terra fra noi, lontani e vicini, nell’Angolo, in una Stanza, dietro Porte e Finestre, siamo noi.
Per Strada, nelle Piazze, oppure su Sentieri diversi che diano la Speranza o l’Illusione di una comune e reciproca appartenenza nell’essere stretti, isolati, selvaggi.
In un Angolo di Recinto, Casa, Stanza, Porta, Finestra, ed anche in una Stella disegnata, nell’Occhio grande o piccolo, persino in un Sentiero, c’è uno Spigolo, almeno uno.
Quello spigolo che tende la curva della quale è Inizio o Fine, quell’altro che invece si specchia in altri dirimpettai ortogonali: nei riquadri di Ingressi ed Uscite, stanno a ricordare, nel percorso dentro, fuori e dovunque, un tratto o un momento in cui la Direzione dei Passi, dello stare fermi o dell’andare via o alrove, cambia direzione. A volte supera, a volte torna indietro, altre s’inabissa o vola via.
Dove stiamo andando?
Dove stiamo andando, veramente, intendendo lo Spazio ed il Tempo, oltre quel confine di Recinto, Stanza, Ingresso e Uscita, oltre la misura del Tempo suddiviso nei Giorni.
Dove stiamo veramente andando, nel Tempo indefinito, in quel Momento che unisce e separa la nostra Vita quando comincia e quando finisce.
Dove stiamo andando, da soli ed insieme, nelle nostre Vite separate ed intrecciate. Chi comincia prima e chi dopo. E poi, quando finirà…?
E soprattutto, cosa stiamo facendo?
Cosa stiamo veramnete facendo da soli ed insieme, per Noi stessi e per l’Altro vicino e lontano?
Anche oggi, insieme a Te che diventi sempre più sottile, silenzioso, rimpicciolisci fisicamente, e ti stai allontando da questa Vita, a poco a poco, io mi avvicino piano piano. Vengo verso di Te. E cambio Direzione … 🙂
(Ma comincio a sentire che sto andando anche verso parti di me che non conosco proprio, o quasi …). Grazie.
A volte, la storia arriva da te e, non è un racconto. No, è un incontro … Ascolto la differenza, tra racconto ed incontro, quando arriva da me. E, dico “da me”, ma in quel momento non sono separata, dietro al mio nome od una maschera. Non sono sola. La magia di una storia viva è proprio che s’accompagna a te e forse, ti sveste d’ogni maschera, pretesa, pregiudizio . . . E, nuda posso sentire il vento in profondità, se sono in ascolto.
Certe volte, sono distratta e la maschera è sottomessa a quell’attesa, aspettativa o altro, così che io perdo il vuoto che ci separa e ci unisce oltre ogni forma, ed ogni definizione di personalità.
Grazie!
La sua Voce (di Bob) è come una storia in progress, se l’ascolti parti per un viaggio dentro di te e, seguendola, non trovi confine, se non quello fra Terra e Cielo (e lì Terra e Cielo, Inferno e Paradiso non sono categorie e non sono separati, mai).
Contemporaneamente ti porta oltre il tempo, là dove Passato, presente e futuro non sono inseparabili . . . Sempre!
Quello che conta son le storie, non quello che trovi o porti a casa.
S’apre uno spazio d’ascolto ad ogni incontro, con qualcuno, qualcosa, un paesaggio, un’immagine, un segno visivo o sonoro. Oltre le parole, s’apre uno spazio di ascolto. Non sai cosa arriva non sai perché. Restare connessi attraverso l’ascolto senza aspettative e senza richieste, come una porta ( o una finestra) che si lascia attraversare, come una strada che si trasforma al passaggio dell’acqua, in fiume …
Le storie sono sempre presenti, persino su una pagina personale di ebay, dove qualcuno espone cose da vendere. Sono presenti, soprattutto dove non le cercheresti mai; forse stanno in attesa e, ti sorprendono, se le lasci apparire.? Dipende, forse, da noi quello che troviamo, così come dipende sempre da noi se non troviamo qualcosa…? 🙂
Le storie si manifestano come suono, hanno un ritmo secolare che ha loro consentito di intrecciarsi insieme e di cambiare, trasformandosi in un’altra storia, connessa ad altre, e così via. La separazione nel tempo e nello spazio è dissolta, se ascolti e racconti, se sei ascoltato e raccontato.
Quando racconti, sei una Voce fra tante, accogli una storia in te … Sia benvenuta!
Quello che conta son le storie, non quello che trovi o porti a casa.
S’apre uno spazio d’ascolto ad ogni incontro, con qualcuno, qualcosa, un paesaggio, un’immagine, un segno visivo o sonoro. Oltre le parole, s’apre uno spazio di ascolto, non sai cosa arriva non sai perché. Restare connessi attraverso l’ascolto senza spettative e senza richieste, come una porta ( o una finestra) che si lascia attraversare, come una strada che si trasforma al passaggio dell’acqua, in fiume …
Le storie sono sempre presenti, persino su una pagina personale di ebay, dove qualcuno espone cose da vendere. Sono presenti soprattutto dove non le cercheresti mai, forse stanno in attesa e, ti sorprendono, se le lasci apparire. Dipende da noi quello che troviamo, così come dipende sempre da noi se non troviamo qualcosa…? 🙂
Le storie si manifestano come suono, hanno un ritmo secolare che ha loro consentito di intrecciarsi fra loro e di cambiare, trasformandosi in un’altra storia, connessa ad altre, e così via. La separazione nel tempo e nello spazio è dissolta, se ascolti e racconti, se sei ascoltato e raccontato.
Quando racconti, sei una Voce fra tante, accogli una storia in te … Sia benvenuta!
“Lasciati e trovati. e poi , lasciati di nuovo . . . “
Era scritto a mano. La calligrafia leggera, pendeva un po’ di qua ed un po’ di là, come se volasse sopra la riga che usualmente guida in un direzione.
E’ una mappa d’appartenenza.
La mappa è invisibile ed anche l’apparenza, lo è. Lo saranno, se davvero appartengono ad uno spazio indiviso (non uno spazio rappresentato, codificato, confinato, classificato, temuto od amato, venduto o perduto, ecc,). Là, dove non c’è separazione di forma, valore e tempo, fra noi, intendendo me, (tutte le parti di me), e te (tutte le parti di te) o lei (tutte le sue parti, lui (tutte le parti in lui).
Più grande sarà la libertà di stare lontano e vicino, più grande sarà lo spazio… verso una dimensione non misurabile, inseperata. C’è un percorso da fare, potrebbe già essere in corso, sicuramente non avrà un punto di arrivo ( e, forse, neanche di ritorno)!
You threw the bums a dime in your prime, didn’t you?
People’d call, say, “Beware doll, you’re bound to fall”
You thought they were all kiddin’ you
You used to laugh about
Everybody that was hangin’ out
Now you don’t talk so loud
Now you don’t seem so proud
About having to be scrounging for your next meal.
How does it feel
How does it feel
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
You’ve gone to the finest school all right, Miss Lonely
But you know you only used to get juiced in it
And nobody has ever taught you how to live on the street
And now you find out you’re gonna have to get used to it
You said you’d never compromise
With the mystery tramp, but now you realize
He’s not selling any alibis
As you stare into the vacuum of his eyes
And ask him do you want to make a deal?
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
You never turned around to see the frowns on the jugglers and the clowns
When they all come down and did tricks for you
You never understood that it ain’t no good
You shouldn’t let other people get your kicks for you
You used to ride on the chrome horse with your diplomat
Who carried on his shoulder a Siamese cat
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After he took from you everything he could steal.
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
Princess on the steeple and all the pretty people
They’re drinkin’, thinkin’ that they got it made
Exchanging all kinds of precious gifts and things
But you’d better lift your diamond ring, you’d better pawn it babe
You used to be so amused
At Napoleon in rags and the language that he used
Go to him now, he calls you, you can’t refuse
When you got nothing, you got nothing to lose
You’re invisible now, you got no secrets to conceal.
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
Oggi, riascoltando questa canzone, ri-trovo una testimonianza che testimonia una condizione per tutti di una discesa là sotto, in quel punto detto “di non ritorno”, nel senso che comunque ritornerai da qualche parte, ma non sarà più la stessa. In quel punto, capire che è stata una fortuna arrivare fin li’ e, morire nella personalità di chi credevi d’essere e credevano tu fossi.
Essere, almeno una volta in questa vita come “Like a rolliing I stone”, rilasciare le certezze, rischiarle e vivere da mendicante, senza mendicare. Lasciare la maschera che consentiva di medicare celando quell’elemosina da “ricchi”. E, mendicare davvero, senza più maschera.
Liberarsene e, senza saperlo al momento, trovare la consapevolezza e trasformare quel mendicare nel viaggio di chi porge la ciotola vuota agli altri, senza nome e, soprattutto, apprezzandola, sia vuota sia piena:
“Accetta ed onora quel dono che è anche il vuoto”.
Apprezzare e celebrare quel vuoto, soprattutto dentro di sé. Uno spazio che si sta liberando, un ritorno a casa, dolce, struggente, misterioso, indescrivibile. Tutto scompare 🙂
Qualcosa resta? Sì, seguire la musica, il canto che percepisci dentro di te e qualche volta anche fuori, come quando ascolti davvero.
Ascoltare davvero è , sia seguire una voce quando corrisponde ad un ritmo che ti annienta e ti fa rinascere, trasformata.. sia accettare altri ritmi e trovare una distanza…ma continuando a cantare ?