Per modo di dire … dicendolo mi prendo un piccolo spazio per retrocedere segretamente da quello che ho appena detto, prima.
In inglese ho trovato alcune traduzioni, ed ho preferito questa: as a figure of speech, perchè? Indicando una “figura retorica” mi sembra riferisca l’accadere o il mostrar/si di “figura”, per una specie di spettacolo privato o pubblico. Parlare ad una platea o da una platea. Senza teatro, però e senza un vero spettacolo, probabilmente.
Nella distanza fra teatro dello spettacolo e società dello spettacolo ci sta la grande differenza, un mondo o più, direi! Fra l’origine sacra dello spettacolo rituale (idolo, maschera, sacra rappresentazione e cerimonia) e l’edizione rappresentativa) della società dei consumi ce ne corre, davvero, di differenza. Non più “investiti dalla divinità”, attori autentici sotto la maschera ed il travestimento, ma consumatori che comprano e (si) vendono come figure partecipi di un teatrino-organizzazione di consenso pilotato. Merci per messaggi mercificati.
Qual’è il problema? Vivere in un teatrino senza saperlo. Per modo di dire uno spettacolo, per modo di dire vivere.
Farnetico e cosa c’entra o centra questa specie di post con quella “figura retorica”? Non so, ma stiamo attenti a non essere, oltre che a farle, “figure di merda” (e almeno, cerchiamo di accorgercene) … Oh, l’ho detto.
(scrittura veloce, un po’ puzzolente e comunque, in progress … :-).
Post Scriptum: 2 . 4. 2019
Gli Esquimesi si baciano annusandosi accuratamente (con una cerimonia antica che ancora conserva il suo valore). Con loro non si possono fare, o essere tantomeno, “figure di merda”. Subito si sarebbe riconosciuti e mandati a camminare sul “Ghiaccio sottile” (Icewisdom). . . per aiutare un nostro rinnovamento ?! 🙂
A volte, la storia arriva da te e, non è un racconto. No, è un incontro … Ascolto la differenza, tra racconto ed incontro, quando arriva da me. E, dico “da me”, ma in quel momento non sono separata, dietro al mio nome od una maschera. Non sono sola. La magia di una storia viva è proprio che s’accompagna a te e forse, ti sveste d’ogni maschera, pretesa, pregiudizio . . . E, nuda posso sentire il vento in profondità, se sono in ascolto.
Certe volte, sono distratta e la maschera è sottomessa a quell’attesa, aspettativa o altro, così che io perdo il vuoto che ci separa e ci unisce oltre ogni forma, ed ogni definizione di personalità.
Grazie!
La sua Voce (di Bob) è come una storia in progress, se l’ascolti parti per un viaggio dentro di te e, seguendola, non trovi confine, se non quello fra Terra e Cielo (e lì Terra e Cielo, Inferno e Paradiso non sono categorie e non sono separati, mai).
Contemporaneamente ti porta oltre il tempo, là dove Passato, presente e futuro non sono inseparabili . . . Sempre!
Quello che conta son le storie, non quello che trovi o porti a casa.
S’apre uno spazio d’ascolto ad ogni incontro, con qualcuno, qualcosa, un paesaggio, un’immagine, un segno visivo o sonoro. Oltre le parole, s’apre uno spazio di ascolto, non sai cosa arriva non sai perché. Restare connessi attraverso l’ascolto senza spettative e senza richieste, come una porta ( o una finestra) che si lascia attraversare, come una strada che si trasforma al passaggio dell’acqua, in fiume …
Le storie sono sempre presenti, persino su una pagina personale di ebay, dove qualcuno espone cose da vendere. Sono presenti soprattutto dove non le cercheresti mai, forse stanno in attesa e, ti sorprendono, se le lasci apparire. Dipende da noi quello che troviamo, così come dipende sempre da noi se non troviamo qualcosa…? 🙂
Le storie si manifestano come suono, hanno un ritmo secolare che ha loro consentito di intrecciarsi fra loro e di cambiare, trasformandosi in un’altra storia, connessa ad altre, e così via. La separazione nel tempo e nello spazio è dissolta, se ascolti e racconti, se sei ascoltato e raccontato.
Quando racconti, sei una Voce fra tante, accogli una storia in te … Sia benvenuta!
Come una Mollica di Pollicino, per poter tornare indietro anche se, ritornare non sempre ti riporta da dove, credi o credevi, di essere partito:
“L’Acqua diventa Ramo. I Rami diventano Acqua.
Trema il Fulmine così vicino alla Stella.
Ho rivisto “Abrazo de la Serpiente”, ci sono tornata (per caso?) sospinta, come una barchetta di carta, dal Vento, da un link ritrovato in Fb. Ho sentito che mi parlava, parlava proprio alla parte di me che vuole “partire, senza scappare, però…”.
“Da cosa potresti scappare?”
Da qui….
“Oh, non puoi! Qui e là sei sempre tu, oppure non lo sei, mai.”
Preferisco la seconda ipotesi.
“Sì, però però arrivarci è un Viaggio!”
Va bene. Mi aiuteresti a partire?
“Lo stai facendo, anzi sei già in viaggio. Ascolta!
(la meta non è il viaggio).
Sì, ascolta, il tuo Canto ti sta cercando . . .”
Grazie.
28 . 5 . . 2017
“Qualunque sia il tuo dolore e la tua pretesa o ricerca di guarigione, ascolta. Ascoltati, trova il confine, là dove ascoltare è ascoltarti ma rimane ascoltare. Là, oltre alla tua persona/lità. Ascolta. Ascoltati ascoltando, con umiltà e semplicità, vai oltre. Riconosci la tua paura, ascoltala, Qualunque mezzo sarà buono se alla fine lo rilascerai. Non cercare scorciatoie e se le troverai, ringrazia! … Fino ad allora, o finora, non si sa in quale vita o quando, vai, vai, vai…. e resta andando e, vai restando. Mi intendi?”-
(così, sento diverse voci nello stesso o canto, e sono una…).
La tua voce è un canto, e come un canto, seguo il ritmo del respiro, il mio che non è solo mio … vado e resto, resto e vado. La bambina in me, non è negata e non comanda più. Riconosce il Cerchio e partecipa, lieve.
Così, sento diverse voci nello stesso canto, e sono una…
La naturalezza è l’unico potere, autentico.
GRAZIE!
NPAL diary & Journey 2805017, Here & Elsewhere
28 . 5 . 017
Mi sono svegliata, con l’immagine (la prima, qui sopra), davanti agli occhi.
Ho risentito quella emozione di disturbo, della scorsa estate in Siberia, quando ci siamo incontrati con Olga. Eravamo un gruppo in un seminario-Viaggio, non un tour turistico (senza offesa per Alpitour), eppure mi sono sentita come in un safari, davanti agli obiettivi, cellulari e macchine fotografiche: la sciamana Olga nella sua stupenda casina, di quattro per quattro metri, ci guardava con severità e compassione.
Cellulari in mano e macchine fotografiche pronte, riflessi condizionati di ripresa e giudizio. Tutto pronto.
Alla fine, si è fatta fotografare. Così piccola, così di un altro Mondo (un Ponte fra i Mondi). Si stringeva al figlio e… non so scriverne. Le foto son venute tutte sfocate, che coincidenza! Io mi sono sentita svenire, avrei voluto svanire, del tutto!
Da allora, per ogni tipo di rappresentazione, sento una diffidenza che sto cercando d’esplorare. Forse l’ho sempre sentita per l’arte, meno per la fotografia, ma ora è riemersa potente. Hanno detto che fotografare ruba l’anima. Magari non ruberà l’anima, ma la disturba! Se “fissi” in un’immagine permanente, qualcosa o qualcuno separandolo, dalla sua appartenenza multidimensionale, e mostrarlo come una “figurina”, l’anima è disturbata, e soffre. Ed, ad soffrire è anche la nostra anima. Mentre l’ego gongola?
Ecco il ricordo, di una foto che non ho fatto.
Le fiamme del fascio di rami di Ginepro per la fumigazione si espandono nella piccolissima stanza, dove il gruppo è voluto entrare insieme, invece di rispettare la richiesta (10 per volta); cadevano ovunque i lapilli , alla fin del rituale di guarigione , che non descrivo. Avete presente l’energia del Vulcano? Eravamo indifesi, in balia del Mistero.
Le presenze (umane) erano troppe, troppo pesanti, e pensavano senza sosta, giudicando, classificando? Olè! Un dente si è spezzato (sarebbe potuto rompersi ben altro, più gravemente. Quante, quante paure sono emerse, urlanti! . Molti rimproveri indignati : era una sciamana esagerata, non avrebbe dovuto fare così, “Gli sciamani non sono aggressivi, non lasciano tracce sul corpo… “.
Pensavano di essere ad uno spettacolo e lo spettacolo li aveva troppo spaventati? Davanti alla potenza della naturalezza ci si può spaventare, d’accordo. Dipende dal tuo Intento, e dal tuo “bisogno”, cosa ti succede. Puoi scappare, giudicare, cercare scampo dall’abbandono, oppure arrenderti, inchinarti e ringraziare, davvero, o altro. A te la scelta. E, basta. Non è uno spettacolo (di magia).
Ormai, tutto può essere documentato (ed essere consultabile in rete, su youtube o altro). Tutto, tranne l’invisibile. Rispettiamo almeno quello. E, chiediamo(ci) quale potrebbe essere la causa di tutta questa compulsione di rappresentazione. La risposta potrebbe essere davvero interessante, un viaggio avventuroso e magari pericoloso, dentro di noi.
“La nostra personalità è terrorizzata dalla perdita di controllo, corre al riparo, si nasconde con maschere affascinanti, o terrificanti, e ci fa credere che siamo noi quello che sembriamo, crediamo o ci fanno credere, di essere o dover essere.”
Il Teatro delle Origini, lo sa, usa le maschere per rappresentare l’invisibile, che tale rimane, segreto. Se lo contatti muori, da vivo , e lo sai, non sarai più lo stesso, vivendo .
La naturalezza è l’unico potere, autentico, riunisce le parti separate, è una connessione, non una contrapposizione,
“Vivi in battaglia, dentro di te, per la pace. In viaggio, disarmata, ma non senz’armi. Da sola, ma non separata.Non pretendere. Ascolta. Ora. “
Tra parentesi, svanisce la fuga, in uno spazio. Forse, neanche lo conosco ma mi sembra limitato spazio, nell’essere comunque infinito … Posso esplorarlo (nell’illusione che sia limitato). Sì, esploriamo l’illusione (dicevamo)!
” C’era in lei/lui un Esploratore/ Esploratrice (viceversa, senza esclusione),che ogni tanto lanciava un richiamo: “Andiamo!” diceva, subito aggiungeva sorridendo “Guarda non so dove, che bello! Andiamo”
Andiamo.
NPAL Diary & journey – “G a t e”, Findhorn Summer/Autumn 2012
NPL Diary 21022017 (in progress)
22 . 4 . 017.
Sì, andiamo.
Eppure, mentre vado sento di restare, ma non sto restando qui, se intendo un luogo circoscritto. Resto qui e vado, solo se non censuro nessuna dimensione, in me, in te in quell’unica reale sconfinata, inseparta dimensione, (senza qui e senza ora) . . .
Grazie 🙂
I believe that she’d stop him if she would start to care I believe that she’d look upon [the side and? deciding?] to care And I’d go by the Lord and where she’s on my way But I don’t belong there. No I don’t belong to her I don’t belong to [anybody? ev’rybody?] She’s my [price? prize?]-forsaken angel but she don’t hear me cry She’s a lone-hearted mystic and she [can? can’t?] carry on When I’m there she’s all right but [when?] she’s not when I’m gone. Heaven knows that the answer she’s don’t call in no one She’s the way a sailing beauty for she’s mine for the one And I lost the [heavy changing? hesitating?] by temptation as it runs But she don’t holler me but I’m not there I’m gone. Now I’ll cry tonight like I cried the night before And I’ll [lease out the house? her eyes? the heights?] but I dream about the door So long Jesus savior blind faith [worth to tell? where’s to tell?] It don’t have confirmation she’s my own fare thee well. And I went out she used to live here I was born to love her But she knows that the kingdom [waits? weights?] so high above her And I run but I race but it’s not too fast to [slump?] But I don’t [perceive? deceive?] her I’m not there I’m gone. Well it’s all about confusion as I cry for her [veil?] And I don’t need anybody now beside me to tell And it’s all [information? affirmation?] I receive but it’s not She’s a lone-hearted beauty but she don’t block the spot And she gone. Yes she’s gone like the rainbow that’s shining yesterday But now she’s home beside me and I’d like to hear she’d stay She’s a home-seeking beauty and it don’t trust anyone And I wish I was beside her but I’m not there I’m gone. Well it’s a-too hard to speaking and I don’t quite believe It’s so bad ‘cause [she’s using? amusing?] and she’s hard too hard to leave It’s unknown it’s a crime the way she [moved?] me around But she told for to hate me just as a [born pathetic? gone pathetic?] clown. Yes I believe that it’s rightful oh I believe it in my mind I been told like I said when I before [carried? carry?] on the crime And she’s all that you told her like I said carry on I wish I was there to help her but I’m not there I’m gone.
NON CI SONO (1956) parole e musica Bob Dylan traduzione di Alessandro Carrera [Va tutto] bene, e lei è sempre qui in giro nel mio quartiere piange notte e giorno, lo so perché [è successo lì? lui era lì?] è una pietra miliare ma lei è sfortunata e [disperata tutti i giorni?], ma [a far difficile la cosa?] io c’ero. Credo che lei vorrebbe dirgli basta se cominciasse a pensarci su credo che vorrebbe ripensare a questo lato della cosa e [decidere di?] pensarci su e io rispetto Dio e dove me la vedo venire incontro ma il mio posto non è qui. No, il mio posto non è vicino a lei, non è vicino a [nessuno?] è lei l’angelo [abbandonato? senza prezzo?] che mi è stato dato [in premio?], ma non mi sente se piango è una mistica dal cuore triste e [sa? non sa?] come tirare avanti finché ci sono io va tutto bene ma [quando?] non è così quando me ne vado. Lo sa il cielo che la risposta – lei non è tipo da chiamare nessuno è lei la via, una bellezza dalle vele spiegate perché è mia, per la sola… e io ho perso [il mutamento greve? l’esitazione?] per come va la tentazione ma lei non mi può chiamare con un grido, ma io non ci sono, me ne sono andato. Mi viene da piangere stasera, come mi veniva da piangere anche ieri e io [affitterò la casa? i suoi occhi? le altezze?] ma sogno di prendere la porta addio Gesù, salvezza, fede cieca [da annunciare? dov’è da dire?] non c’è conferma, il mio addio è lei. Sono andato fin là dove abitava, il mio destino era di amare proprio lei ma lei sa che il regno [dei cieli] [attende? pesa?] alto sopra di lei e corro ma corro ma non troppo forte da non poter [cadere?] ma [non sento la sua presenza? non la inganno?], non ci sono me ne sono andato. È tutta una gran confusione mentre io sono qui che piango per il suo [velo?] e non ho bisogno di nessuno al mio fianco che me lo dica ed è tutta [informazione? affermazione?] che ricevo, ma non lo è lei è una bella dal cuore triste ma non occupa il posto e se n’è andata. Sì, se n’è andata come l’arcobaleno che ieri splendeva ma adesso è a casa con me e vorrei sentirle dire che rimarrà è una bella in cerca di una casa dove stare e non c’è da fidarsi di nessuno e vorrei esserle vicino ma non ci sono, me ne sono andato. Sì, è troppo difficile da dire e io ancora non (ci) credo è una brutta faccenda perché [lei usa? è spiritosa?] ed è troppo, troppo difficile lasciarla è una cosa inaudita, è un delitto come che mi ha fatto fare quello che voleva lei ma le è stato detto, per potermi odiare, ma c’è un [pagliaccio nato patetico? abbandonato?]. Sì, credo che sia giusto, oh, nell’animo lo credo mi hanno detto, come ho detto io, quando prima [portavo? porto?] io il peso del delitto quando lei è tutto quello che le hai detto, come ho detto, tira dritto vorrei essere lì ad aiutarla ma non ci sono, me ne sono andato.
Nota. Ho utilizzato alcune trascrizioni apparse su vari web site(s), ma alcune erano incomplete e tutte presentavano varie discrepanze. Credo che questa sia la trascrizione più esauriente finora disponibile, ma posso sempre essere smentito da ricerche ulteriori. Comunque non penso che si possa mai arrivare a un testo definitivo di I’m not There (1956) perché un testo definitivo non c’è mai stato. Può darsi che alcune delle parole incomprensibili non siano nemmeno parole, ma sillabe improvvisate da Dylan sul momento per completare il verso. La traduzione cerca di essere letterale, con qualche necessaria integrazione di senso che può essere giusta o sbagliata, ma senza sapere rispetto a che cosa lo sarebbe. Alessandro Carrera
Ci sono momenti in cui mi dimentico di ciò che, pochi istanti prima, avrei voluto scrivere … Ed allora, cosa scrivo (adesso è proprio così)? Bene (C l i c k ), scrivo quello che sento allora, cioè ora. E, questo è proprio un momento in cui sto dimenticando ciò che poco fa avrei voluto raccontare.
C’è una pausa, uno spazio che si intromette fra un’immagine passata ed una presente, ma che non c’è o comunque, non si vede. Un paesaggio mancante o così infinito da annullare ogni definizione, riferimento o nome. Resta ben visibile, uno spazio rarefatto. Li’, mi smarrisco. C’è un balbettio, fra vedere e non vedere. Non sapere, sempre. Un balbettio, sì; me lo ricordo. Quando si balbetta, che succede? Si incespica, su una lettera, su un suono o chissà dove (veramente).
Ci si interrompe, la voce si spezza, non si può continuare, fino alla fine, mai. L’interruzione mi fa sprofondare in un baratro: non sono arrivata alla fine della parola, o della frase, e resto sospesa, arranco, scivolo, precipito, ma dove? Sto parlando al presente, ma quando balbettavo, e ci “credevo” proprio, era così. Se solo mi fossi fermata ad ascoltare, quel baratro avrebbe assorbito il mio precipitare e l’avrebbe trasformato in un volo. Musica di giostra , o di carillon, sento ora… la ballerina col tutù rosa, fra gli specchi, gira e gira. La sua danza deborda dal palcoscenico, (chissà dove), traccia movimenti tribali. S’accende un fuoco. (. . . )
Una storia vale un’altra, quello che conta è raccontare, anzi accogliere le storie, che di nostra proprietà non sono, lasciarle passare. E, restituirle al Vento.
Grazie, sempre. 🙂
NPAL Lab/ Home, PS (provisional set) 2013/14
Eccone una, una storia, un’altra.
Quando sento certe canzoni, le ascolto e le canto come se fossero scritte dentro di me. Mi meraviglio di ricordare canzoni degli anni settanta, parola per parola, quando dimentico tutto o quasi!
La voce accoglie e rilascia, tante storie, mie e non… quando si dice che la separazione non esiste ed è proprio un soffio in-separazione, un balbettio che passa dal baratro e quando meno te lo aspetti, ti porta da altre parti. Come viaggiare in un altro mondo, pur restando qui. O, forse, si resta sul confine
fluttuante fra i mondi, provvisoriamente (cioè per ora).
N.B.: post in progress, più che mai… ) sono in una condizione di “straripamento emotivo”, quindi posso scrivere solo a tratti, altrimenti resterei al pc, o a scrivere-disegnare su un quaderno, giorno e notte. Cè anche altro da fare… quindi, scriverò a tratti…. 🙂
11. 22 – Da qualche tempo mi dedico a The Work (oppure qui) e la dinamica di ribaltare, ciò che avverto all’esterno verso di me diventa qualcosa che io, percependolo, agisco in me o verso l’altro, è qualcosa che non ricevo ma che io stessa agisco più o meno in-consapevolmente verso me stessa o l’altro.
Oh yes, facciamola finita con le accuse agli altri, cominciando dai genitori, in questa vita e pure nelle altre … Ora, eccomi di fronte alla mia connessione, assunzione di responsabilità ! Ad un certo punto il dramma-commedia svanirà e “ribaltare” rivela questo gioco nella vita… La consapevolezza responsabile prima si presenta , ogni tanto, svegliando lo spirito libero della gioia attraverso il rilascio della tensione, e poi, spesso ed infine, quasi sempre, ad ogni passo incerto o troppo sicuro.
A proposito, c’è una sicurezza, a volte, che mi spaventa. L’avverto forse più sovente negli altri, e quindi zac! Ribalto su di me, non è qualcun altro o qualcosa, all’esterno, a spaventarmi, son io, ed allora mi chiedo: perché mi spavento? Mi son trovata “da un’altra parte, scrivendo (ancora) e mi fermo qui. Avevo cominciato a scrivere perchè rileggendo una poesia-canzone di Bob Dylan mi ha infastidito o toccato una sua frase, mi era sembrata eccessiva ed allora l’ho ribaltata su di me. E’ questa:
“I found hopeless love in the room above
When the sun and the weather were mild
You’re as fine as wine, I ain’t handing you no line
I’m gonna have to put you down for a while”
Huch’s Tune – BOB DYLAN
Un’altra domanda: ho scritto questo post invece di qualcosa d’altro simile ad un Report del Viaggio a Iona (sono appena tornata in Italia, almeno fisicamente)? Chissà Perchè … 🙂 . Comunque, continua … Grazie ❤
Rastak Group è “a new ensemble for contemporary Persian folk music was formed as an experimental music group in 1997. The group seeks to collect, record and interpret traditional persian folk music for a global audience, incorporating language, culture and history also me ring traditional instruments and forms with contemporary rhythms. The musicians who comprise Rastak have graduated from the best universities in Iran and have done extensive research into Persian folk music.”.
Non conoscevo questo gruppo ma il mio incontro con la musica persiana risale a tante, tante Lune fa. Quando portavo musica e soprattutto musica tradizionale dei mondi a scuola per le nostre lezioni. Quanti bei ricordi…!
Ora, dopo aver incontrato questa musica per una fortunata (apparente) casualità, sto ascoltando un dialogo, fra noi. Provo ad azzardare alcuni suoi argomenti. E’ un ensamble misto, donne ed uomini, tutti suonano con un’ispirazione , stanno giocando molto seriamente, proprio come sanno fare molto bene i bambini. Credono a quello che stanno facendo insieme e giocano, si giocano il confine o il limite fra di loro e l’universo, fra la loro cultura e tutte le altre.
Riascolto, e sento: la tromba del giudizio universale, il campanello del gatto, il battito ritmato del cuore e quello del bissare alla porta. Sento l’invocazione del vento e della pioggia, la disperazione della separazione e la gioia di scoprire che non esige e non esiste, sento lo strillo napoletano dei vicoli, di chi vendendo gioca la sopravvivenza, sento il pianto trattenuto nell’attesa che diventa di gioia o di morte a secondo se la “barca” arriva o no.
Ed intanto, sento l’accettazione, di essere insieme sempre, anche quando si è soli, soprattutto … Grazie.
NPAL Travel & Meeting – British Museum, London, January 2014 – Man’s Clothes, recycled metal foll bottl-neck wrappers, copper wire by EL Anatsui, Ghana 1999 – 2001
“The traditional narrow-strip woven silk kente cloth of Ghana is a source of pride and a receptacle of cultural memories. It is a leitmotif that runs through much of El Anatsui’s work.
He uses it to pursue the themes of the memory and loss, particularly the erosion of cultural values through unchecked consumerism, here symbolised by the bottle-neck wrappers.
Yet El Anatsui’s work is ultimately optimistic, in the case using cloth as a metaphor for both the fragility and the dynamism and strength of traditional clothes may be seen i the textiles section of the galleries.
El Anatsui (1944) was born in Ghana but since the 1970s has been working at Nsukka where he is professor of Sculpture at the University of Nigeria”.
It’s been such a long long time Since we loved each other and our hearts were true One time, for one brief day, I was the man for you Last night I heard you talkin in your sleep Saying things you shouldn’t say, oh baby You just may have to go to jail someday Is there a place we can go, is there anybody we can see?
Maybe it’s the same for you as it is for me I ain’t seen my family in twenty years That ain’t easy to understand, they may be dead by now I lost track of em after they lost their land Shake it up baby, twist and shout You know what it’s all about What are you doing out there in the sun anyway? Don’t you know, the sun can burn your brains right out My enemy crashed into the dust
Stopped dead in his tracks and he lost his lust He was run down hard and he broke apart He died in shame, he had an iron heart I wear dark glasses to cover my eyes There are secrets in em that I can’t disguise Come back baby If I hurt your feelings, I apologize Two trains running side by side, forty miles wide Down the eastern line You don’t have to go, I just came to you because you’re a friend of mine I think that when my back was turned The whole world behind me burned
It’s been a while Since we walked down that long, long aisle We cried on a cold and frosty morn We cried because our souls were torn So much for tears So much for these long and wasted years
Il rif di ” Ring them Bell” ritorna, tanti anni dopo?
Ogni performance di Bob Dylan segna la mappa a cui fa riferimento, come se scrivesse sulla stessa mappa celata in ogni canzone . . . Ogni versione della stessa canzone cambia, e ritornerà cambiata Riporta sempre a quella Mappa, a quel segreto, a quel patto, a quella missione; (ritornerò cambiata?).
In ogni sua performance segna, una versione dopo l’altra, che il tempo a passare non è quello misurato dall’orologio, controllato dal conto dei minuti, delle ore e degli anni. E’ un altro, è altro. Innanzitutto, è una testimonianza viva, come le stagioni, la pioggia… e i fulmini. E, lo è proprio in quel momento. lì. Grazie
Ring them bells, ye heathen From the city that dreams Ring them bells from the sanctuaries ’Cross the valleys and streams For they’re deep and they’re wide And the world’s on its side And time is running backwards And so is the bride
Ring them bells St. Peter Where the four winds blow Ring them bells with an iron hand So the people will know Oh it’s rush hour now On the wheel and the plow And the sun is going down Upon the sacred cow
Ring them bells Sweet Martha For the poor man’s son Ring them bells so the world will know That God is one Oh the shepherd is asleep Where the willows weep And the mountains are filled With lost sheep
Ring them bells for the blind and the deaf Ring them bells for all of us who are left Ring them bells for the chosen few Who will judge the many when the game is through Ring them bells, for the time that flies For the child that cries When innocence dies
Ring them bells St. Catherine From the top of the room Ring them from the fortress For the lilies that bloom Oh the lines are long And the fighting is strong And they’re breaking down the distance Between right and wrong
NPAL Memories & Meetings – Pollution – 1806014
Seguiranno, poco a poco, in progresss nei commenti altre versioni live.
Quando le parole non arrivano, così davanti alla pagina bianca. Un ticchettio di gocce nel lavandino. Sembra Pioggia. Adesso.
Un anno fa non ero qui, e forse neanche due anni fa. Ero, comunque, là e qui, diversamente là e qui. Eppure adesso, ci sono. Cado giù, giù. Come una Foglia. Grazie 🙂
NPAL Tour & Meeting, Ottobre 2013
(1- continua)
2 .11 . 2013
I was thinking of a series of dreams Where nothing comes up to the top Everything stays down where it’s wounded And comes to a permanent stop Wasn’t thinking of anything specific Like in a dream, when someone wakes up and screams Nothing too very scientific Just thinking of a series of dreams
Thinking of a series of dreams Where the time and the tempo fly And there’s no exit in any direction ‘Cept the one that you can’t see with your eyes Wasn’t making any great connection Wasn’t falling for any intricate scheme Nothing that would pass inspection Just thinking of a series of dreams
Dreams where the umbrella is folded Into the path you are hurled And the cards are no good that you’re holding Unless they’re from another world
In one, numbers were burning In another, I witnessed a crime In one, I was running, and in another All I seemed to be doing was climb Wasn’t looking for any special assistance Not going to any great extremes I’d already gone the distance
“Der Blaue Reiter” (The Blue Rider), 1903 Wassily Kandinsky