Buon 25 Aprile

di Festa . . . !

continua . . .

“Da piccola, facevo un gioco: vedere quante più cose insignificanti ci fossero in una stanza o in una via o sul tram, proprio le più non viste, le più niente di speciale e accoglierle tutte nello sguardo e sorridergli con complicità. E credevo davvero che loro se ne accorgessero e ne esultassero, tutti: paralumi di plastica, stracci per la polvere, foglie di cicoria in una crepa dell’asfalto, una forchetta, un pezzettino di giornale, una macchia di ruggine su un lampione di periferia. E tutti questi non-invitati li ho invitati nelle mie fiabe e li ho lasciati parlare. (…)

Così, può darsi che in una città tutta disumanamente umana, un usignolo trovi posto per la sua malinconia e che incontri l’amore. O che una rosa diventata atea divinamente risorga. O che qualcuno scopra che il silenzio non è che l’insieme di tutti i rumori, il loro sfondo e che non ha opposti. Capita che una pattumiera sappia insegnare a entrare in confidenza con la morte e che i suoi discepoli siano nòccioli di frutta, cartacce, fili, lische di pesce. E succede che un uccello impari che si è a casa solo quando si accettano le cose così come sono e non quando le si sogna diverse. Che una musica scenda sulla terra per un bambino troppo strano e per esseri che non conoscono più l’inutilità della gioia. E un cavallo alato impari l’amore perdendo le strategie di fuga e accettando la morte. La sofferenza e la solitudine di un bambino d’oro vengano ascoltate solo da un uomo nero che odia tutto quello che è candido. E che una bambina impari a pensare accettando di essere separata per sempre dal suo merlo, sepolto sotto la neve (…).

Credo che siano fiabe che hanno ancora voglia di pronunciare parole vecchissime come solitudine, dolore, gioia, amore, morte, e anche albero, muro, pattumiera, tram.

(…) Sono fiabe che vogliono dire una cosa sola: c’è posto per chiunque sulla terra, e anche sotto il mare e anche in cielo e anche sottoterra. Nessuno, nessunisssimo escluso. E ognuno è assolutamente speciale, ognuno è unico, se non altro per se stesso. E ogni attimo, ma proprio ogni attimo, si può scoprire di essere vivi (o morti) e assaporare” (dall’Introduzione dell’autrice).
Chandra Livia Candiani

SOGNI

DEL FIUME

Da tanto non scrivevo qui…Oggi due post in uno, addirittura…

Chandra, dice anche della mia vita, che non è tanto quella delle cose concrete, fatte bene o male o non fatte neppure. Non è tanto la vita delle cose accadute o attese, quella di cui parla lei. E’ la visione, di ciò che negli spazi vuoti fra questa realtà e altri mondi, sussura, chiama, o semplicemente racconta, se ascolti. Lei ne ha una visione così pura e luminescente che per l’incanto, non distinguo più fra musica e silenzio. Grazie!

Io con vestito leggero

di Livia Candiani (estratti)

Nelle contate ore

del nulla quotidiano

si aggira il tuo respiro

sempre più simile a un lamento,

solo umano senza supplica.

mi scrivi nell’anima

il tuo corpo : all’incrocio

tra qui e nessun luogo

ci concedi la tua urina e la tua voce

divinamente neutra :

“non so più cosa è bene

e cosa è male.”

dicembre 00
*

Strano mettere la data

alle lettere come fossero

valide solo per oggi come

rassicurandosi di non poterle

rileggere domani. strano sapere

che tutto varia indefinitamente

strano mettere il luogo da

cui vengono scritte e non

quello da cui partono

non : dal cuore per un attimo

dall’anima prevedibilmente

per sempre, dal corpo

per una notte che lo riduca

in cenere.

ottobre 96

*

Tu mi sei d’aiuto

a star male

e mi sei anche d’aiuto

a vedere che il male

passa e anche il bene

passa tu mi sei d’aiuto

a equilibrarmi sugli abissi

non voltar via la faccia

e non gettarmi

a precipizio. sto col respiro,

quasi aggrappata

al respiro e aspetto

che fuori dalla finestra

non finisca di piovere.

ottobre 96

*

Dove sei quando sei qui

da quale lontano vengono

gli abbracci e perché

ai sorvegliati confini

dei corpi si fermano

che cappotto di fumo

indossi in cucina sotto

la cappa della tua sigaretta

quali sentinelle metti

al paesaggio della tua faccia

perché non mi sorrida

mentre mi urli insulti

sfoderi il mio passato

come un atto d’accusa

di quali tribunali

è capace il cuore

non urlarmi il silenzio

quando non sei più

né qui né qui.

ottobre 96

*

Finita finita finita

non la vita ma il percorso

che portava fino a te

una barchetta di foglie

azzurra galleggia

dalla fontana al fiume

dal fiume al mare

dal mare al nulla

non hai saputo aspettare

la lettera mai scritta.

novembre 96

*

Non un altro amore

ma un senza guadagno

sperdimento strade a raggera

da un centro di vertiginoso vuoto

mi lascio conquistare

pezzo per pezzo

come una terra estranea

da un senza intenzione

casuale esercito di sfuocata

gentilezza, guardami gatto

nemmeno io ho paura

dell’estate sotto la pelliccia

della mia pelle ferita

ricucita ferita.

giugno 96

*

Un corvo cupo all’alba

sull’albero vicino alla finestra

grida e singhiozza

singhiozza singhiozza

e grida. Apro la finestra

“cra-cra, cra-cra anch’io

anch’io cra-cra

cra-cra anch’io.”

gli grido smisurata amante

del dolore animale del loro

stupore dentro il male.

se ne va svanisce leggero

con volo vellutato

gli è bastato

senza motivo apparente

solo un sentiero nel fitto

del niente.

giugno 99

*

La tua rosa si è sfogliata

come per un vento leggero

non è rimasto lo stelo vuoto

ma il profumo

dell’uccello appena volato

via

non siamo rose

né uccelli

né il vento

ma l’attesa di soffiare

di volare

di sbocciare.

settembre 99

*

Muori rivolta verso l’interno

come foglia che cadendo indugia

abbagliata dalla gialla danza

forse nessuna terra aspetta

ma certo chiama e l’aria

ti accompagna devota entrando

e uscendo dalla tua conchiglia

insieme alle voci sommesse

degli amici e della telenovela

che guardiamo religiosamente insieme

lasciati andare alla campana

che ti fa risuonare lasciati

amare da quella probabile

accoglienza che nessuno conosce

ma di cui ognuno è certo

lasciaci andare noi morenti

ti stanno spuntando le ali

di neve e nuvole segui

il fragoroso silenzio che ci spegne.

dicembre 00

**

Livia Candiani, Io con vestito leggero, Campanotto Editore, 2005.

**

“Chandra Livia Candiani è nata a Milano nel 1952. Vive a Milano col gatto Zivago.”

maria luisa

Pubblicato 4 Agosto 2005 alle 17:43 | Permalink

“…

una barchetta di foglie

azzurra galleggia

dalla fontana al fiume

dal fiume al mare

dal mare al nulla…”

versi materialmente leggeri, ma profondi come chi li ha scritti. Bello ritrovarli qui.

Trespolo

Pubblicato 5 Agosto 2005 alle 00:15 | Permalink

Parole da gustare con calma, dopo averli stampati, seduto in poltrona con cognac e sigaro.

Buona notte. Trespolo.

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cristiano prakash dorigo

Pubblicato 8 Agosto 2005 alle 10:42 | Permalink

la solitudine, il coraggio di sentirla e di ammetterla alla propria esistenza. come non dire più bugie e pagarne il prezzo.

belle e diverse tra loro e forse anche per questo ancor più belle.

cristiano prakash dorigo

mauro pianesi

Pubblicato 8 Agosto 2005 alle 11:33 | Permalink

molto belle queste poesie. adesso le stampo e me le rileggo meglio, lontano dallo schermo almeno per un po’. di solito è difficile trovare delle poesie “decenti” e “originali” nei siti web, no?

mauro pianesi
Versi leggeri per poetesse appartate

di Franco Loi

“E se incontri/il lupo salutalo con l’indice/ e il medio sulla fronte/come un soldato saluta l’ultima sentinella”. Non cercate questi versi di Livia Candiani in questo libro. Non li troverete come non ne ho trovati tanti altri suoi che conoscevo a memoria… E’ da sgridare questa schiva, grande poetessa che si è dedicata a cinquantanni passati (ne dimostra di meno) a cominciare a pubblicare almeno una parte delle sue poesie” scrive Vivian Lamarque in una breve introduzione a questo Io con vestito leggero di Livia Candiani. Ne so qualcosa io stesso che, venendo a casa mia anni fa accompagnata da Giorgio Morale, autore recente del bel romanzo Paulu Piulu stampato da Piero Manni, la consigliai a un grande editore. Tra le poesie pubblicate ne riconosco molte di allora, e tra queste la serie dedicata alla Signora: “Settembre/la Signora ha soffiato piano tra i rami/fino a far cadere le barche di foglie”, “Gli uccelli/neri/attraversano il vetro della finestra/sembrano portati/è la Signora che gli insegna il volo/poi li abbandona:/che nevichi/sulla magnolia giapponese/sul cancello/sulle ombre del prato”. Aveva avuto buon intuito Antonio Porta a inserirla nella sua antologia Feltrinelli degli anni Settanta. La sua è una poesia semplice intensa, ricca di significati. Di fronte a tanta poesia scritta con la testa o con tanta malizia letteraria, questa della Candiani è naturale, suscita pensieri ed emozioni, rivela un autentico rapporto con le cose. Si sente che questo libro nasce dall’esperienza di una vita, che ha del resto pochi precedenti pubblici: Fiabe vegetali (1984) e il libro di fiabe Sogni del fiume (2001). Davvero occorre ringraziare l’editore Campanotto per questo libro, che vogliamo finire di segnalare con questa poesia: “Cara betulla, guardandoti dalla finestra controllo/la tua solitudine mi/specchio, talvolta/hai in visita dei merli/sembri accogliente e ospitale/loro sembrano non accorgersi di te/ai rami come doppi pensieri”…

HO COPIATO INCOLLATO COMMOSSA,…

CHANDRA, ANCHE LEI COME BOBBY, SI FA CANALE. LA POESIA UMIDA, LUMINOSA, IRIDESCENTE. L’ATTRAVERSA, ARGENTATA.  GRAZIE!

( continua, post in progress…)

T r o u g h t

lab Harambèe – kaapi carla barnabei  – Milano 6 Altrove, Marzo 2010

d o o r

“Con tutte le divisioni del terreno si vede bene la mappa dei confini e si perde il territorio.

Non voglio stare da una parte o dall’altra, piuttosto ci passerei attraverso…”.

*

Ad ogni partenza, un bilancio fa spazio al nuovo. Il bilancio va esaminato, soppessato, ineterpretato e congedato.

Il congedo è un nuovo progetto. Qui, oltre alla vita c’è ben poco da investire,  sulla vita si sa non si possono fare investimenti, neaNche a breve termine. La vita passa, cambia, si mescola a volte finisce, o così potrebbe sembrare, insomma ci si fa affidamento nell’istante in corso. E subito dopo non si sa.

Quando ho vissuto una settima al Circo Togni , ero piccola e l’avevo chiesto a papà come regalo di compleanno, c’era un Clown anziano che mi aveva raccontato una storia d’amore. Quella fra il Filo ed un’Acrobata.

Ogni giorno durante le prove e più tardi nello spettacolo, si parlavano e lei lo attraversava, per ascoltare fino in fondo la storia.

Ogni gorno continuava  andando da  molte parti, e altrove. Mentre lei sospesa lassù ascoltava, veniva trasportata, restava ed andava via.

Attraversava sì, ma non solo il filo: persino le sembrava, di invecchiare in un solo momento, di tornare indietro di secoli.

In quel posto c’era già stata, lo sentiva nelle caviglie.

Quella canzone nel vento l’aveva già sfiorata, glielo  diceva il cuore.

O invece, ringiovaniva di colpo,  si vedeva un’altra, in un tempo lontano , a venire.

Insomma, ogni congedo poteva essere l’ultimo o il primo.

Paddy  Hamilton


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Sapeva che sarebbe, prima o poi arrivata da Lui, in quel luogo o in un altro.

Avrebbe potuto saperlo dal filo, ma lui non ci era mai voluto salire.

Non aveva bisogno di conferme o di speranze.  Era sicuro di far parte di una storia in cui tutte e due erano previsti, e gli bastava. Che cosa  accadesse in fondo gli pareva secondario. Che conta, lui si diceva, è che ci sia il vento, già è musica. Che conta è che ci sia una storia, farne parte. E svanire in un’altra, insieme. Ancora.

Di storie me ne ha raccontate altre, almeno una ogni giorno. Eppure, s’intrecciavano tra loro, sia pur in ordine sparso; qualcuna arrivava per ultima ma raccontava di qualcosa che era accaduto prima di qualcosa d’altro raccontato all’inizio. Così che, non si poteva più distinguere nè prima nè dopo.

Come in  un disegno che si compone e non finisce mai, non si può distinguere  inizio e fine . . . Come quella musica che nasce da un’ eco imprecisata, si fa, si disfa e ritorna ad esser eco. Quale suono originario? Da dove?  Chissà.

( 5 . 5 . 51  –  c o n t i n u a )