Lo scritto ai margini, le note e le bibliografie a piè pagina mi hanno sempre affascinato.
Ricordo i tempi di una loro lettura quasi esclusiva, fatta tralasciando tutto il resto, al domani. Una periferia di riferimenti o di dispersioni, mi sembra parte della mia vita. Ed ora, invece di svilirla o aspettare “la vera vita” si realizzi, li riconosco, li osservo, ne invoco il mistero.
Ciò che viene emarginato, vive eppure , forse, proprio quella vita che noi temiamo, potrebbe essere nostra.
Sì, come se la vita non possa escludere nessuna vita, ed essere nient’altro che quello che è, al confine sottile segnato dalla trasformazione e dalla morte. Su questo confine si smarriscono e si scolorano le immagini prese della vita, del viaggio che riconosciamo?
Lo sto chiedendo, perché non riesco a ritrovare (trasferire sul pc, e tanto meno stampare o pubblicare) le foto del viaggio e neanche altre foto prese prima o dopo.
La Mongolia mi ha regalato il senso del silenzio che non è fatto di assenza di parole, è spazio. Uno spazio di ascolto, fluire di un tempo che è solo qui, ora.
Così, (qui ora) non sia una formula, ma l’ascolto del respiro che arriva fino a me, chissà da dove (chissà da chi). Importante, non affibiargli né nome né luogo. Ascoltare.
” Is it time, is it now?.”
E’ sempre ora, no?
It’s always n o w , isn’t it?
NPAL Diary & Notes 1309015