A
che
titolo


© lab Harambèe – Vèrger & Altrove, Primavera 2007

v a


La borsa dello Specchio
da un sentiero d’Acqua
attraversata …

(non è una poesia)
* 55156 – continua *


Old Nomad Bag for Mirror Oyna Alta.
(Uzbek)

Durante gli spostamenti da un pascolo all’altro i nomadi portavano anche un sacchetto o borsa per gli specchi chiamati Oyna Alta. Nella
yurta uno specchio riposto non cessava di essere ciò che era.

Agiva come custode di un tempo che già era stato e segnava spazio a nuovi risvegli. Nella
yurta
,come in un grembo, attendeva.

(dom. 20 . 5. 07 – 9.29 )


S p l e n d o r e
&
S t u p o r e


© lab Harambèe – Vèrger & Altrove, Primavera 2007

v i c i n o

Lo splendore come stupore. Stupito, dal verbo stupir(si).
Ora,senza affermarlo, sentirlo lo stupore.

Sentire così che, come ogni visione, non sia mio (nel senso del possesso e del sapere) o nostro (nel senso che noi sì, lo sappiamo e ce losuamo conquistato abbiamo, noi).

Lo stupore che sia piuttosto un’appartenza? Apparterrà, lo stupore , al Nulla meraviglioso che nel suo apparente movimento di assorbimento in sé riconosce essenza all’invisibile o a ciò che trasformato verso l’essenza le si avvicina, forse.

La scoperta che scopre e che risveglia, oltre a ogni apparenza, ad essere semplicemente qui ora. Senza credere,senza sapere, senza essere qualcuno senza avere qualcosa. Semplicemente essenza.
Una solitudine che si trasforma in un’appartenza. Innominabie, indicibile lontananza.


“Una goccia sola, è pioggia. Ma lo sa…?

Lo sanno la foglia ed il ramo quanto sono lontani
o vicini dalla terra/cielo, e fra loro ?”


S p l e n d o r e
&
S t u p o r e


© lab Harambèe – Vèrger & Altrove, Primavera 2007

v i c i n o

Lo splendore come stupore. Stupito, dal verbo stupir(si).
Ora,senza affermarlo, sentirlo lo stupore.

Sentire così che, come ogni visione, non sia mia (nel senso del possesso e del sapere) o nostro (nel senso che noi sì, lo sappiamo e ce lo siamo conquistato abbiamo, noi).

Lo stupore che sia piuttosto un’appartenza? Apparterrà, lo stupore, al Nulla meravigliso che nel suo apparente movimento di assorbimento in sè riconosce essenza all’invisibile o a ciò che trasformato verso l’essenza vi  si avvicina, forse?

La scoperta che scopre e che risveglia, oltre a ogni apparenza, ad essere semplicemente qui ora. Senza credere, senza sapere, senza essere qualcuno senza avere qualcosa. Semplicemente essenza.
Una solitudine che si trasforma in un’appartenza. Innominabie, indicibile lontananza.


“Una goccia sola, è pioggia. Ma lo sa…?

Lo sanno la foglia ed il ramo quanto sono lontani
o vicini dalla terra/cielo, e fra loro ?”


A t t r a v e r s o


© lab Harambèe – Milano & Altrove, Primavera 2007

u n o & d u e

* Chi sei? Ascolto e racconto storie, dici. Tu, scrivi?

Sì, scrivo
qualcosa.

* Ah, qualcosa, dici. Dimmi, almeno scrivi racconti, se non proprio poesie o romanzi? Qualcosa per bambini o per adulti?


Bhe, non lo so. Dipende. Le storie, io le chiamo così, sono incontri, per me. Arrivano, io ascolto e trasmetto. Non sono mie. Sono incontri, relazioni come con le persone.
Contatti con il vento che entra dalla finestra improvvisamente, nel silenzio pacificato della sera. Qualche storia arriva come una farfalla si posa un attimo, poi va via. Ho appena il tempo di cogliere il soffio.

Qualcun’altra invece è come un’ape, la sento arrivare…zzz zzzzzzzz. Sto un po’ all’erta,temo di non capirla.
Se mi irrrigidisco, attenzione, mi pungerà. E’ successo, quella volta. Non era un’ape sola, ma un intero sciame. All’inizio mi sono spaventata per quell’aggressione volante. Mi sono coperta la faccia con le mani, rannicchiata a terra. Perchè mi son chiesta, saranno contro di me.

Poi, dopo aver riconosciuto il penetrante e sottile dolore delle loro punture, ho sentito il veleno mescolarsi al sangue. Non stavo più tanto male. Da allora, strano, delle api non ho paura, anzi mi sembra di conoscerle. Quando le sento arrivare, socchiudo gli occhi e vedo il colore dorato dello stupore, fulgore. Creature perfette, così minuscole. Ma sto all’erta, per lo spazio del rispetto del loro potere. Faccio finta di essere un fiore. Ma loro, mica ci cascano. E passano, oltre.

* Scusa, non sarai mica un po’ fissata con’sto fatto di ascoltare e raccontare come se tu non c’entrassi un gran che?


Capisco, cosa intendi… Mi nascondo? Allo stesso modo sono restia a far mostre, partecipare ad esposizioni, eccetera?

* Bhe, sì. Non credi? Ti svaluti, o lo fai per snobismo. Hai una pretesa, tu. Ma sei, simpatica, eh.


Grazie. E’ che quando mi sento un canale che trasmette ciò che arriva, io sono felice. Ogni storia mi radica, mi fa scorrere, mi fa volare, mi porta un bagliore del cielo. Ed io, allora senza parole, mi sento.


“Sono Radice, Ruscello, Nuvola e Fulmine,”

© lab Harambèe – Milano & Altrove, Primavera 2007

t r e

(4 e 5 – continua)


G i r a

Un golf leggero color verde bosco lungo fino ai piedi come fosse una tunica, non basta. E allora, un cappotto sopra, oggi. Esco così, senza cappello e senza guanti. Ecchecavolo, è primavera!

C’è un vento che s’insinua perfino dove sosti al riparo. Soffia fra i capelli e fra le dita.
Le mani sopra il manubrio s’arrossano irrigidite.
Ci vuole un caffè e una dolce nenia a decantare la voce d’inverno che dice alla primavera:”Ci sono ancora”. Inverno primaverile e primavera invernale.


“Ricorda, sempre un cerchio. Una ruota.”

Tiro sù il grande collo del cappotto, rialzo il vecchio foulard russo di mia nonna fin sotto il naso. Le roseline rosse di panno cucite in un angolo fanno capolino dal nero.
Penso alle gemme sui rami, alla guerra dovunque. Pedalo più in fretta. La natura richiama la nostra consapevolezza. Sconvolta, sconvolge. Si ribella all’eccidio. E noi?

© lab Harambèe – Milano & Altrove, Marzo 2007

t r e m o

c l i c k

I s k o n s e r t

A sami joik and sound of ice

Attenzione, attenzione !

Questo pos, scitto qualche giorno fa il 21 marzo, era sparito…L’ho trascritto ora. Chiedo scusa a Cenresig e Urubu:

i vostri commenti sono stati trscinati via insieme al post, non li ho cancellati io…Mi dispiace.

kaapi


G i r a

Un golf leggero color verde bosco lungo fino ai piedi ,come fosse una tunica, non basta. E allora, un cappotto sopra, oggi. Esco così, senza cappello e senza guanti. Ecchecavolo, è primavera!

C’è un vento che s’insinua perfino dove sosti al riparo. Soffia fra i capelli e fra le dita.
Le mani sopra il manubrio s’arrossano, irrigidite.
Ci vuole un caffè e una dolce nenia a decantare la voce d’inverno che dice alla primavera:”Ci sono ancora”. Inverno primaverile e primavera invernale.


“Ricorda, sempre un cerchio. Una ruota.”

Tiro sù il grande collo del coppotto, rialzo il vecchio foulard russo di mia nonna fin sotto il naso. Le roseline rosse di panno cucite in un angolo fanno capolino dal nero.
Penso alle gemme sui rami, alla guerra dovunque. Pedalo più in fretta. La natura richiama la nostra consapevolezza. Sconvolta, sconvolge. Si ribella all’eccidio. E noi?

© lab Harambèe – Milano & Altrove, Marzo 2007

t r e m o

c l i c k

I s k o n s e r t

A sami joik and sound of ice

Attenzione, attenzione !

Questo post, scitto qualche giorno fa il 21 marzo, era sparito…L’ho trascritto ora. Chiedo scusa a Cenresig e Urubu:

i vostri commenti sono stati trscinati via insieme al post, non li ho cancellati io…Mi dispoiace.

kaapi


28 dicembre 2006


© lab Harambèe – c.k. barnabei

Milano & Altrove, Inverno 2006

1.

d o n i

E’ arrivato un Momento. Questo, gela le parole.

Eppure in silenzio continua la danza. Non mi posso fermare.


“Scarpette Rosse”, ricordi …?

Il Vento quieto, sospira.

Ed ecco, le parole tintinnano,come gocce gelate sul Ramo.

Il cielo è bianco, sembra vuoto.


“Mamma, dove sono andate le Nuvole..?”

Quando senti un contrasto,un opposto esclude l’altro. Così sembra.


(ad esempio, difficoltà ed affetto…?! ).

Guai ad associarli, guai a separarli.


“Oh, se ascolti fra gli opposti intenderai

solo lo spazio fra loro.”


Nient’altro.

Ci chiama…? Sommessa voce… Sussurra per farsi ascoltare.

Solo così, in silenzio, potrò sentire.


Un Fuoco antico rigenera Rami del Bosco. Ritorneranno.

Gli ultimi Giorni di un Ciclo.
Cenere sul capo, si farà strada.


“Poi, diventarà di nuovo Nuvola….? ”

( continua… )


© lab Harambèe – c. k. barnabei

2.

d o n i

P i e t r e

p e r

v i a g g i a r e


“Un gruppo di “pietre da collimazione” è stato rintracciato nell’atollo di Butaritari, nell’arcipelago delle Gilbert: lo studio della loro disposizione indica anche qui un’indubbia correlazione con le isole Marshall, poste 264 km a nord. Un secondo gruppo di sei-sette pietre si trova nell’isola di Arorae, la più meridionale delle Gilbert: esse son note ai nativi col nome di Te Atihu ni Borau che significa semplicemente “pietre per viaggiare”. Ciascun monolite funziona da indice per la direzione di una determinata isola dell’arcipelago, e tiene conto della deriva che i venti dominanti possono imprimere alle imbarcazioni.

I piloti, prima di intraprendere una traversata, si sedevano su di una piattaforma di osservazione posta a distanza della relativa pietra di traguardo e ne stimavano con accuratezza la direzione indicata, confrontandola con la disposizione di un determinato gruppo di stelle visibili in prossimità dell’orizzonte. Il ricordo, o una semplice mappa, dell’ associazione prospettica fra quelle stelle e la pietra di traguardo doveva evidentemente accompagnare e guidare il navigante durante tutto il tempo della traversata. Venivano anche eseguite, e lo sono tuttora, osservazioni a puro scopo d’addestramento, secondo quanto attesta un singolare esemplare di canoa di pietra esaminato dal Lewis nell’isola di Beru, anch’essa facente parte dell’arcipelago delle Gilbert.

Si tratta di una figura delineata sul terreno mediante l’impiego di pietre grossolane, che delimitano un’ area a losanga avente la diagonale maggiore di qualche metro di lunghezza e disposta nella direzione est-ovest, mentre la diagonale minore è allineata con l’ asse nord-sud. I vertici della figura sono contrassegnati da pietre poligonali aventi la funzione di indicare, tramite la propria mole e con la disposizione degli spigoli, l’ importanza e la direzione del flusso delle maree.

Il recinto di pietre raffigura evidentemente il bordo di un’imbarcazione. Il posto ove deve disporsi l’ osservatore nel corso della sua pratica d’addestramento è indicato da una grossa pietra rettangolare contenuta all’interno della losanga. Su di essa si erge un blocco di corallo che sta a simboleggiare il dio del mare, entità protettrice e di ausilio ai naviganti.”

Vincenzo Croce –

A i r e s i s
– Etnika


“Vieni amore mio, è l’ora.

Il bosco come un mare di foglie sopra di noi.
.
Cantano i venti.

Gonfiano gli abiti come vele.

In noi l’eco attraverso il cuore fino alla radice.

Ci chiamano.

E’ una strada invisibile richiama i passi ed il canto.

Prendi il tamburo con una mano e con l’altra spronalo come un destriero.

Op, Op… e gira, gira.

Attraverso l’onda del suono fatti portare da una scia di stelle…

Vieni amore mio, è l’ora

Ora di partire, di lasciare, di trasmutare.

La via delle Ossa, del Sangue, del Sogno.

Intreccia i tuoi capelli, intreccia un’altra kalamàa.

Ancora con le dita spargi latte,intorno.

Il fuoco risplende sulla montagna.

Vieni, vieni con me.”

K. A. & K. C. – Shamanic journey “131415.5.06”


© lab Harambeè – Qui & Altrove, 1996/2000

V e n t o

Questa sera c’è un eco qui. Viene da lontano.

Non so da dove.

Non so, ma sento un vento leggero, è ora di prepararsi…

Qualcosa sta per accadere.

Come da bambina, apro la finestra e guardo in sù, verso il cielo.
Poi prendo un pugno di terra, lo strofino fra le mani, le avvicino al viso e annuso.

Che profumo.